A OSTIA NON CAMBIA NULLA E DI MAFIA PARLA ORMAI SOLO 'IL TEMPO'.
SULLE SPIAGGE, ROCCAFORTE DEGLI AFFARI, NESSUN CONTROLLO, NESSUNA AUTORIZZAZIONE. PASSATA L'ONDATA MEDIATICA DI EROI ED EROINE, I CLAN SI RIPROPONGONO PIU' FORTI DI PRIMA.
La Cassazione salva il clan di Ostia
Carmine e Giuseppe Fasciani
erano stati condannati a 23 e 17 anni per droga Per la Suprema corte non c’è
associazione a delinquere: processo rinviato
All’inizio dell’anno si era infranta, in secondo grado,
l’accusa nei suoi confronti di associazione a delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti. «Don» Carmine Fasciani, l’uomo che da anni nei
rapporti antimafia viene dipinto come uno dei boss del litorale romano, era
stato assolto insieme alla moglie dalla Corte d’Appello di Roma. Un colpo
durissimo, l’ultimo di una serie per gli inquirenti che nel 2012 (dopo
l’assoluzione in primo grado) avevano già dovuto incassare il dissequestro del
Village, il mega stabilimento balneare di proprietà della famiglia Fasciani.
Ieri la Cassazione ha depositato le motivazioni della
sentenza di un altro procedimento che, emessa un po’ in sordina lo scorso sette
febbraio, ha dato un’altra amarezza a chi da anni indaga su una famiglia
accusata di controllare una fetta importante di Ostia.
La terza sezione penale della Suprema corte ha annullato
con rinvio la sentenza di appello che il 29 marzo 2013 ha condannato Carmine
Fasciani e il fratello Giuseppe rispettivamente a 23 e 17 anni, «limitatamente
al reato di cui all’articolo 74 del d.P.R. 309 del 1990». Si tratta
dell’articolo che punisce l’associazione a delinquere finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti. Per la Cassazione l’entità della condanna
andrà riformulata, perché la sentenza di appello non motiva a sufficienza
l’esistenza di un vero legame di tipo associativo tra i Fasciani e altri
soggetti pizzicati a trafficare in droga con loro.
L’operazione da cui è scaturito il procedimento risale al 5
febbraio 2008, quando dopo una serie di intercettazioni telefoniche e
ambientali le forze dell’ordine arrestarono a Ostia Alessio De Santis, trovando
nel suo magazzino di mobili una partita di cocaina, a sua volta ritirata e
consegnata da Marco Rhao, pregiudicato di Ostia in seguito fuggito in Spagna ed
estradato nel 2010. Sullo sfondo, dalle intercettazioni ambientali, emerse il
coinvolgimento di «Don» Carmine e del fratello nel controllo e
nell’organizzazione dell’affare.
Rapporti frequenti, quelli fra i quattro, che però per la
Cassazione non provano l’esistenza di un vincolo associativo durevole, un
«programma generico di delinquenza», anche perché De Santis e Rhao, annotano i
giudici della Suprema Corte, «si approvvigionavano anche da altri fornitori con
canali di spaccio autonomi rispetto ai Fasciani». Toccherà di nuovo ai giudici
di secondo grado motivare perché, nel caso specifico, non ci si trovi di fronte
a un semplice caso di concorso in reato.
«Non c’erano i presupposti giuridici per contestare
l’associazione», conclude Palma Seminara, uno degli avvocati di «Don» Carmine e
del fratello. Ai quali, adesso, la Corte d’Appello di rinvio potrebbe decidere
di ridurre sensibilmente la condanna. «Sono infatti rimasti in piedi soltanto i
reati minori», spiega l’avvocato Seminara.
Ancora una volta, dunque, la contestazione del reato di
tipo associativo si rivela un terreno non agevole per chi indaga sulla famiglia
Fasciani, nonostante le relazioni della Dia abbiano spesso descritto Carmine
(che da pochi giorni ha compiuto in carcere sessantacinque anni) come un
dominus della malavita di Ostia, erede dei boss della Banda della Magliana, uno
dei boss protagonisti di una vera e propria spartizione del litorale romano
insieme alle famiglie Senese e Triassi.
L’ultimo guanto di sfida ai Fasciani e al loro impero
economico risale al marzo scorso, quando l’operazione «Tramonto» della Guardia
di Finanza ha portato all’arresto di sedici tra presunti affiliati,
fiancheggiatori e prestanome della famiglia, accusati a vario titolo di
associazione a delinquere di stampo mafioso e trasferimento fraudolento di
beni.
L’operazione «Nuova Alba», a luglio 2013, aveva fatto
piovere 51 ordinanze di custodia cautelare e sequestri ingenti. In
quell’occasione furono arrestate anche la moglie e le due figlie di Fasciani, Sabrina
e Azzurra. Per quest’ultima, recentemente, sempre la Cassazione ha respinto la
richiesta di revoca del provvedimento.
(Martino Villosio – Il Tempo)"La mafia uccide, il silenzio pure" (P. Impastato)
Nessun commento:
Posta un commento