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giovedì 29 agosto 2013

OSTIA E L'OMERTA'



Intimidazioni e ritorsioni «Il clan non ti punisce per questioni di soldi ma per continuare a essere temuto e rispettato» «La popolazione di Ostia è assoggetta all'omertà dalla forza intimidatoria del clan Fascianti .


(Corriere della Sera Roma di martedì 27 agosto 2013, pagina 5, di De Santis Giulio)

Lo scrive il Tribunale del Riesame nelle motivazioni con cui conferma la custodia in carcere per i boss dell'organizzazione di stampo mafioso operativa nel litorale. Una famiglia guidata da Carmine Fasciani, un capo dall'aspetto «bonario» ma capace di «farti spaccare una gamba o un braccio, di bruciarti il negozio, di non farti più lavorare per una questione di rispetto». E la gente ad Ostia ha paura anche soltanto sentendo pronunciare il nome del «boss». Quattro gli episodi citati come esempio dai giudici (a cui si sono rivolti i legali degli indagati, gli avvocati Federico e Salvatore Sciullo, Remo Pannain e Angelo Bucci) che testimoniano la forza intimidatrice della famiglia Fasciani. Dal «pugile ciccione» Lillo Remo, cosi impaurito da arrivare a negare di essere stato vittima di un attentato nonostante i fori di proiettile sulla macchina. Alla proprietaria di un esercizio commerciale, Cinzia Pugliese, che ha preferito accusare degli estranei delle pallottole indirizzate contro la sua serranda pur di non fare il nome dei Fasciani. Per finire a Marco Cococcia e Daniele Iorio, vittime di estorsioni che hanno scelto di pagare il pizzo e non denunciare il clan nonostante siano stati costretti a versare fino a 2.000 euro al mese sotto la minaccia di ritorsioni. Come spiega il pentito Sebastiano Cassia, ex braccio destro dei Fasciani, il clan non ti «castiga per questioni di soldi ma per la credibilità». L'influenza dei Fasciani è tale che persino la 'ndrangheta non «può entrare ad Ostia» per spacciare cocaina «senza avere il permesso» della famiglia. dl litorale è solo dei Fasciani» ha rivelato il pentito Cassia al pm Ilaria Calo. Nell'ordinanza il Tribunale descrive anche la condizione del clan dei Triassi, che nel Lazio sono i luogotenenti dei fratelli Cuntrera ossia la mafia di «Cosa Nostra». Vito Triassi, il capo famiglia, è in costante contatto con la mafia siciliana ma «la sua operatività è solo di rappresentanza», osservano i giudici. Infatti - puntualizzano i giudici citando il pentito Cassia - adesso «"i Triassi sono esclusi da tutto" dopo la pax del 2007 imposta da Carmine a Vito"».

domenica 25 agosto 2013

L'APPELLO DI LUNA NUOVA PRESSO APPRODO ALLA LETTURA

Da questo momento è possibile firmare l'appello LUNA NUOVA presso APPRODO ALLA LETTURA sul Pontile di Ostia.

L'APPELLO
Ipocrita chi si stupisce su quanto sta affiorando dalle inchieste sull'associazione di tipo mafioso (416-bis) e sul potere che ha esercitato nel controllo del territorio romano, in particolare sulla gestione delle Risorse pubbliche come il Litorale, con le sue spiagge, ma non sol
o. Irresponsabile chi sostiene che l’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia “restituisce normalità al nostro Litorale” ed è ora di passare al "fare" in nome dello sviluppo e della crisi.
Spetta agli organi inquirenti far luce sulle responsabilità penali e civili, sui legami, sulle complicità e sulle connivenze che hanno permesso che ciò si realizzasse, ma questo non può e non deve eludere una approfondita riflessione, un'analisi che veda impegnati e partecipi tutte/i noi, per cercare di far luce e chiarezza sulle pesanti responsabilità politiche e amministrative che nel corso di questi anni hanno permesso tutto ciò, favorendo interessi leciti e no, ma, soprattutto, permettendo che un Patrimonio, un Bene e una Risorsa Pubblica finissero ostaggio di interessi, non solo criminali, ma dominio dei pochi. Omertoso dunque il silenzio di queste settimane da parte dell’Amministrazione locale e della gran parte della società civile.
Prima del “fare”, bisogna garantire che quel “fare” sia libero da ogni legame con i professionisti della mafia e dell’antimafia. Non è più tollerabile rimandare il confronto sui temi della lotta alle mafie, i diritti e gli strumenti legislativi, la questione deontologica e morale. Le mafie controllano il Litorale anche della Capitale d’Italia. Non sono solo delle infiltrazioni, ma 'signorie territoriali', che dominano e saccheggiano il territorio, i fatti economici e i rapporti interpersonali. Le mafie sul Litorale romano ci sono perché il contesto politico/imprenditoriale/
sociale è ospitale al loro insediamento e al loro sviluppo. Combatterla significa sviluppare un’azione seria e coerente a livello istituzionale che spezzi il legame tra mafia, politica e istituzioni tutte.
Per questa ragione, poiché le indagini della DDA hanno portato alla luce legami criminali tra enti, istituzioni e mafie, chiediamo con forza che si sospendano:

1) Il raddoppio del Porto di Roma costo 80 milioni di euro
2) La sostituzione del Ponte 2 Giugno a Fiumicino con un 'sottopasso', costo di 35 milioni di euro
3) I decreti attuativi del Distretto Turistico Balneare a burocrazia zero

affinché non si ripetano interventi come quelli attuati negli ultimi 10 anni sul territorio con conseguenze devastanti per il suo sviluppo e la sua crescita economica, sociale e culturale e che hanno consentito il radicamento della criminalità organizzata di stampo mafioso.

CHI SIAMO
Storie, percorsi, culture e identità diverse, anche lontane tra loro, rivendicano il diritto a riappropriarsi di uno spazio in un confronto pubblico.

"La mafia uccide, il silenzio pure" (P. Impastato)

venerdì 23 agosto 2013

FLASH MOB A TERRACINA AD UN ANNO DALL'OMICIDIO DI GAETANO MARINO


L’associazione "I CITTADINI CONTRO LE MAFIE E LA CORRUZIONE" ha organizzato il 23 agosto alle 19.00, un flash mob sul lungomare di Terracina. Ad un anno dall’omicidio di Gaetano Marino, un’esecuzione di camorra in pieno giorno e su un lungomare gremito di persone, poche risposte sono arrivate. D’altro canto, l’arresto di Gaetano Tufo avvenuto ieri e quello di un altro latitante di camorra ovvero di Giovanni Castiello avvenuto invece lo scorso 18 giugno sempre a Terracina e tutte le operazioni portate avanti dalle forze dell’ordine in questi mesi sono la conferma di certe “presenze” sul litorale laziale e Terracina non fa eccezione, anzi. La presenza dell’associazione e di tutte le persone che hanno aderito è stato un modo, concreto, per chiedere che sul territorio vengano accesi i riflettori, un ulteriore sforzo da parte di magistratura e forze dell’ordine. Lo sforzo serve anche da parte della politica, lontano da passerelle, buoni intenti e proclami affinchè si attivi per trovare soluzioni nei settori che gli competono, tra cui lavoro e sociale, perché essere assenti vuol dire lasciare terreno fertile alla criminalità. Ed i risultati si vedono. Per questo Luna Nuova ha non solo aderito, ma anche partecipato.

"La mafia uccide, il silenzio pure" (P. Impastato)

giovedì 22 agosto 2013

ALMENO 30 ANNI DI MALAVITA AD OSTIA

ALMENO 30 ANNI DI MALAVITA AD OSTIA, TRA ORGANIZZAZIONI A DELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO E COPERTURE POLITICHE, DROGA ED INDAGINI DEVIATE. 6 LUGLIO 1983, L'OMICIDIO DI SERGIO ZAMPILLONI A PIAZZA GASPARRI.


Mercoledì 6 luglio 1983, L’Unità, pag.12

A Ostia un delitto che ricorda le scene di «Cosa Nostra»
. Un killer lo uccide dal barbiere. Capo clan assassinato. È lo stile della mafia.

Piazza Gasparri, zona di mala, in fondo al lungomare di Ostia. È quasi mezzogiorno, e c'è un vento afoso. Sergio Zampilloni, elemento emergente della mala della zona entra insieme al fratello Claudio, dal barbiere per farsi uno shampoo. C'è già un cliente, un bambino di 10 anni. Prende posto sulla poltrona libera, e appoggia la testa sul lavandino, davanti a un grande specchio. Il killer entra con due pistole in mano, il volto coperto da un foulard. Solo il barbiere lo vede, ma non fa in tempo a gridare. Il primo colpo trapassa la nuca di Sergio Zampilloni, suo fratello si getta a terra. Così pure il barbiere, Marco, l'aiutante, prende il bambino dalla poltrona e lo lancia letteralmente all'interno di un piccolo bagno. Il killer, senza scomporsi, punta una delle due pistole, una 7,65, e spara ancora quattro volte contro il suo uomo, crollato sul pavimento insieme alla poltrona, con l'altra arma tiene a bada i presenti, ma nessuno tenta di reagire. È successo ieri mattina a Ostia: una scena che sembra uscire da uno dei tanti remake cinematografici su «Cosa nostra», quando la mafia italo- americana decise di eliminare i più potenti boss per la spartizione dei quartieri metropolitani. Proprio dal barbiere ammazzarono Don Anastasia, riaprendo la guerra per bande. E, nel suo piccolo. Ostia sembra destinata a ricalcare un cliché già visto. I banditi di questa periferia hanno deciso di scegliere addirittura gli identici «classici» scenari per la loro sanguinosa faida. Era il dicembre di un anno fa. Mariano Proietti, il più giovane di un clan di trafficanti, beveva wisky nella bisca piena di fumo. Anche quella sera del 14 dicembre un killer solo, con il bavero alzato, entrò nel locale con due pistole in pugno. Gli bastò un colpo al cuore. Proietti stramazzò a terra trascinando con sé il tavolo verde con le carte del poker. Nessuno si scompose, nessuno reagì. E nessuno «vide bene» chi era l'assassino. «Sa, commissario — hanno ripetuto i testimoni in coro — era buio, si giocava». Anche ieri mattina i testimoni non hanno visto bene la scena: «Aveva un fazzoletto, questo sì». Un po' poco come indizio. negozianti vicini avevano da dire ancora meno. «Cinque colpi? Quando? Pensi, non abbiamo sentito niente». Mariano Proietti, era uno dei tanti membri di un clan ormai in via di estinzione, «decimato» dai regolamenti di conti, da quando decise di «fare la guerra» ai potenti boss della banda di Giuseppucci «er negro», le «bande della Magliana». L’aveva fondata tra gli altri Danilo Abbruciati, insieme a tanti personaggi che ritroveremo nel clan filo-piduista di Flavio Carboni. Eliminati i Proietti, sono scomparsi in un modo o nell'altro dalla circolazione anche i boss della «Magliana Spa»: Giuseppucci ammazzato a Trastevere, Abbruciati a Milano, Nicolino Selis scomparso «misteriosamente» sotto i pini di Castelfusano, Colafigli e Frau arrestati. Ed infine: Edoardo Toscano e Maurizio Abbatino «tolti dalla circolazione» con una sfilza di ordini di cattura proprio il mese scorso. La polizia di Ostia assicura che l'arresto di Toscano e Abbatino ha esattamente qualcosa a che vedere anche con l'assassinio del giovanissimo Sergio Zampinone. Tolto praticamente il vertice della «mala» di Ostia, ecco aprirsi la guerra di successione. Tra i gruppi «emergenti» c'è proprio quello dei fratelli Zampillone, Sergio, Claudio e Mauro. Intorno a loro, una decina di elementi, giovani, ma tutti decisi a far «carriera » e soldi. Ultimamente, i tre fratelli devono avere avuto qualche noia con i loro compagni, perché giravano sempre a coppia, uno dietro l'altro, con la mano sempre in tasca a toccare il grilletto della pistola. Anche ieri Claudio guardava le spalle al giovane Sergio. Ma non ha funzionato. E adesso, c'è chi giura che la vendetta non si farà attendere più di qualche settimana, tranne un improbabile accordo tra vittime e carnefici. Ma anche la vendetta, per evitare equivoci, dovrà avere il suo preciso rendiconto «economico». Converrà eliminare qualche capozona, solo se alla fine arriverà qualche partita di eroina o cocaina/in più. La polizia conosce queste «leggi di mercato». E sapeva anche dei pericoli per i fratelli Zampillone. Per questo c'era addirittura un «discreto » servizio di sorveglianza verso i tre giovani banditi, che evidentemente ieri è saltato. «Ce lo aspettavamo — riferiscono i funzionari di polizia alle agenzie di stampa — e da diversi giorni tenevamo d'occhio i fratelli e i loro amici. Sapevamo che c'era aria tesa nel gruppo per la spartizione delle zone da controllare, lasciate scoperte dagli arresti di un mese fa». Un'ammissione di «preveggenza», dunque, che però è servita a ben poco. Ora vengono interrogati gli altri membri del clan. Ma probabilmente non se ne caverà nulla. Di fatto, la malavita di Ostia continua ad aumentare il suo peso nel grosso business della criminalità romana. Sul litorale sono arrivate in passato le armi, e arriva ancora la droga. Un traffico filato come l'olio, con l'unico «intoppo» di qualche arresto ogni tanto, sulla base dei soliti ordini di cattura per «associazione a delinquere». Di prove, poche, per i tanti, troppi delitti che hanno «alzato» la media dei regolamenti di conti al livello di oltre trenta vittime l'anno. Una cifra ben lontana dalla «strage» in Campania e Sicilia, ma certo preoccupante.
(Raimondo Bultrini)
"La mafia uccide, il silenzio pure" (P. Impastato)