lunedì 1 febbraio 2021

IL SISTEMA: STORIA SEGRETA DELLA MAGISTRATURA ITALIANA (3)

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo



IL CASO SALVINI E LE DUE MAGISTRATURE

[...] può essere, e se sì come, che il «metodo Palamara» abbia condizionato e magari orientato direttamente o indirettamente anche la vita politica? Può essere che il «malcostume» e la «modestia etica» di cui oggi parla Mattarella abbiano infettato, oltre alle nomine, anche inchieste e processi che negli ultimi vent’anni, da Mastella a Berlusconi, da Renzi a Salvini [...] pag. 11
 
[...] Mentre la candidatura Legnini va in porto…
Quando il gioco di sponda viene bene la palla va sempre in buca.
Giovanni Legnini sarà il nuovo vicepresidente del Csm e in questa storia l’abbiamo incrociato e lo incroceremo diverse volte, anche a proposito dell’inchiesta su Matteo Salvini. Ma per rimanere sul Csm, la vera carambola, quattro anni dopo, sarà l’elezione successiva, quella di David Ermini, oggi ancora in carica.
David Ermini, 61 anni, avvocato di Figline Valdarno, presidente del consiglio provinciale renziano di Firenze dal 2004 al 2009, eletto deputato
nel 2013.[...]
Ci sono vicende in cui l’aspetto giudiziario s’intreccia non solo con quello politico ma anche con quello ideologico?
Sì, ed è un mix esplosivo, come nel caso di Salvini, indagato per sequestro di persona per il blocco dei porti agli sbarchi di immigrati.
Nell’estate del 2018 gli ingredienti ci sono tutti: un ministro degli Interni di destra, il povero immigrato maltrattato, la sinistra che cerca la rivincita dopo la batosta elettorale. Un piatto ghiotto, ovvio che la magistratura scenda in campo. Il culmine lo si tocca l’estate successiva, nel 2019, proprio nelle settimane in cui anche le tensioni nel governo tra Lega e Cinque Stelle sono in rapido crescendo. Io non le so dire se sia più la magistratura che tenta di dare la spallata al «governo delle destre», come veniva chiamato il Conte 1, o se sia Salvini a cercare il martirio per tenere comunque alto il suo consenso su un tema a cui l’opinione pubblica è sensibile, ma sta di fatto che quel governo, come tutti quelli che sfidano i magistrati, cadrà. Sarà una coincidenza, ma cadrà.
Tutto inizia all’alba del 16 agosto 2018, quando la nave della Guardia Costiera Ubaldo Diciotti soccorre in mare 190 immigrati. Da Roma Matteo Salvini, ministro degli Interni, ordina il divieto di sbarco. La nave rimane ferma al largo, prima di Lampedusa e poi di Catania, per cinque giorni, aspettando disposizioni. Poi, l’estate successiva, stessa sorte toccherà alle navi Gregoretti e Sea Watch.
Il magistrato più attivo di tutti è Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento nominato nel 2017 in quota Magistratura democratica. Indaga Salvini sia per la Diciotti sia per la Gregoretti, la Open Arms e la Sea Watch, per la quale ordina lo sbarco immediato di tutti gli immigrati dopo una visita a bordo in favore di telecamere.
Suscitando l’ira del ministro degli Interni, che in tv parla di lui come di uno che stia commettendo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Che si vada a uno scontro è chiaro fin dal primo avviso di garanzia, quello per la Diciotti. Il più veloce a saltare sul caso è il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, come tutti noi in scadenza di mandato. Il 24 agosto 2018, alle 21:07, mi manda il seguente messaggio: «Luca, dobbiamo dire qualche cosa sulla nota vicenda della nave, Area (corrente di sinistra, N.d.R.) è d’accordo a prendere l’iniziativa, Galoppi (Claudio Galoppi, consigliere Csm, N.d.R.) idem, senti loro e fammi sapere domani mattina».
E ancora: «Domani mattina dovete produrre una nota, qualche cosa insomma», forse sapendo già che il giorno seguente Salvini riceverà l’avviso di garanzia. Ma c’è qualche cosa che non mi torna.
Cos’è che non torna?
Tanto attivismo non è da lui. In quattro anni di Csm non era mai capitato che ci dovessimo rincorrere sui telefonini da una spiaggia all’altra d’Italia.
Perché tanta fretta? Ho il sospetto che Legnini stia giocando una partita personale per ingraziarsi i maggiorenti del Pd. Sono i giorni in cui si discutono le liste per le imminenti elezioni regionali in Abruzzo, e gira voce che lui intenda candidarsi a governatore con la sinistra, cosa che poi in effetti avverrà. Per il dopo Csm in realtà puntava ad andare all’Antitrust, aveva cercato una sponda al Quirinale – così mi confidò – ma gli avevano fatto sapere che non era aria.
Sconfitto alle elezioni in Abruzzo, Legnini non resterà disoccupato, gli trovano un posto come commissario delle zone terremotate. Ma lei in quel momento era l’unico ad avere sospetti di questo genere?
Per nulla. Ecco cosa mi scrive quella stessa sera il consigliere del Csm Nicola Clivio: «Perché lui (Legnini, N.d.R.) ci chiede di dire qualcosa sulla storia della nave, e noi lo facciamo volentieri, ma poi non si deve dire che lui comincia così la sua campagna elettorale. Chiaro lo schema? Non dire a nessuno che ti ho detto questo». E io gli rispondo: «Esatto, lo chiede a tutti, anche a noi. Gli ho detto che ci devo riflettere, deve essere una riflessione di tutti coperta anche dai nuovi altrimenti la nostra diventa una cacchetta».
Il giorno dopo, alle 16:02 l’Ansa batte, preceduta dall’asterisco che segnala le notizie importanti, il seguente lancio d’agenzia: «Del caso Diciotti deve occuparsi il primo plenum del Csm in programma il 5 settembre. È quanto chiedono, con una lettera al vicepresidente Giovanni Legnini, i capigruppo togati Valerio Fracassi, Claudio Galoppi, Aldo Morgigni e Luca Palamara». Segue la solita nota sulla tutela dell’indipendenza della magistratura eccetera eccetera. Sospetti o non sospetti la sua «riflessione» è durata poche ore.
Prima regola: mai dividersi. Il clima tra governo e magistratura è tornato quello di dieci anni prima, ai tempi della contrapposizione con Berlusconi.
E noi torniamo ai metodi di dieci anni prima. Di questo parlo, mettendolo in guardia, anche con Matteo Piantedosi, capo di gabinetto di Salvini, che diventerà poi prefetto di Roma, a una cena a casa della collega Paola Roja, presenti il procuratore di Roma Pignatone e il procuratore generale Fuzio: se Salvini continua ad attaccare i giudici non fa che compattarli contro di lui, com’è accaduto prima sia a Berlusconi sia a Renzi. L’attacco frontale alla magistratura è perdente, vince sempre la magistratura al di là che ci sia o no un uso politico delle inchieste, ipotesi che io non mi sento di escludere.
Passano tre-cinque ore da quel duro documento diffuso dall’Ansa, che lei, messaggiando con il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, usa ben altri toni. Vale la pena di rileggere quello scambio di idee: Auriemma: «Mi spiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando.
Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministero dell’Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c’entra la procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico, al di là del lato politico. Tienilo per te o sbaglio?».
Palamara: «No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo».
Auriemma: «Peraltro ha ragione Fuzio. Se la frase (di Salvini, N.d.R.) è solamente questa dove sono le interferenze? Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso, perché tutti la pensano come lui, tutti. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti, che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti».
Auriemma pone un tema vero, sentito da tanti colleghi che vivono del loro e non partecipano al grande gioco del potere, che non devono rispondere al «Sistema» di quello che pensano, dicono e fanno.
Qual è questo «tema»?
Le posizioni espresse dall’Anm e dal Csm sul caso Diciotti e più in generale sulla gestione dell’immigrazione clandestina sono legittime o costituiscono uno sconfinamento nell’area della politica? È giusto che nel 2018 si debba andare ancora in testa a un ministro per sostituire, integrare o rafforzare l’opposizione politica della sinistra al governo di turno da cui è esclusa? Di questo, al netto della sintesi di un messaggino, sto discutendo con Auriemma. Gli dico: «Hai ragione». Ma gli dico anche che bisogna fare così perché altrimenti si spaccherebbe il governo dei magistrati, ipotesi che, in quei giorni e su quel tema, è reale.
Però continuano a esistere due Palamara, quello che parla con Auriemma e gli scrive «hai ragione» a criticare Patronaggio, e il suo opposto, quello che al procuratore Patronaggio scrive: «Carissimo Luigi, ti chiamerà anche Legnini, siamo tutti con te», e «Carissimo Luigi, ti sono vicino, sii forte e resisti, siamo tutti con te».
Il secondo messaggino si riferisce a una minaccia che aveva ricevuto, la mia solidarietà non poteva mancare ed era sincera. Ma non per questo voglio sfuggire al senso della domanda. Esistono tanti Palamara quanti ne servono per gestire con successo situazioni complesse e delicate. Del resto esistono anche due magistrature e due giustizie, il mio compito in quel momento era quello di tenerle insieme.
Due giustizie?
Certo, due giustizie. Quella del procuratore di Agrigento, Patronaggio, che fa sbarcare gli immigrati e in qualche modo giustifica e protegge il ruolo delle Ong, e che indaga il ministro degli Interni per sequestro di persona. Poi c’è la giustizia del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che negli stessi giorni e per gli stessi reati, per ben due volte, dà parere contrario a indagare Salvini; le navi le sequestra e alle Ong fa la guerra, ritenendole complici degli scafisti, in alcuni casi addirittura indagando i loro equipaggi per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Catania e Agrigento distano tra loro solo un centinaio di chilometri, stesso mare, stesse navi, stesso Stato, stesso ministro e stesse leggi. Ma le leggi, com’è noto, non si applicano, si interpretano sì in base alla preparazione, ma anche alla sensibilità culturale, ideologica, politica dei magistrati, e a volte purtroppo anche alla loro appartenenza.
Rispetto a questo sdoppiamento non mi sembra che il governo dei magistrati sia equidistante, e neppure lei nei fatti lo è. Patronaggio passa per un eroe, Zuccaro per un avventuriero fazioso.
Se è per questo anche la maggior parte dei giornali, dei partiti e dei cosiddetti intellettuali segue la stessa strada e si schiera senza se e senza ma dalla parte di Patronaggio. Chi l’ha deciso? Non c’è uno che dà le carte, c’è un blocco culturale omogeneo che si muove all’unisono e che in magistratura fa leva su Magistratura democratica, la corrente di sinistra che, da quando è nata, non ha mai abdicato al ruolo sociale che si è data di paladina dei diritti al di là delle leggi. Negli anni Settanta, con i famosi pretori d’assalto, fu la lotta al capitalismo e la difesa a oltranza dei lavoratori, poi si aggiunse la tutela dell’ambiente e infine, ai tempi attuali, il tema dell’immigrazione. Risultato? Ci sono situazioni in cui il Parlamento è scavalcato dai magistrati, le leggi dalle sentenze. Così è andata.
E le altre correnti che hanno fatto nel frattempo?
Magistratura democratica è l’unica che sui temi sociali ha prodotto una sua elaborazione culturale, cosa mai fatta né da Unità per la Costituzione, che sta nel mezzo pescando aderenti sia a sinistra sia a destra – e quindi priva di un marcato tratto distintivo –, né da Magistratura indipendente, che viceversa enfatizza i temi sindacali tipo gli stipendi, l’organizzazione e i carichi di lavoro. Tutti cavalli di battaglia del suo leader Cosimo Ferri, che ha ben capito che i magistrati entrati dopo il ’97 sono colleghi che non hanno vissuto il ’68: innanzitutto vogliono vivere comodi, non avere problemi; hanno sofferto per arrivare ad avere la toga e adesso vogliono godersela, stare meglio e non essere di continuo coinvolti in estenuanti scontri ideologici. A Magistratura indipendente era iscritto anche Nunzio Sarpietro, il giudice di Catania che ha gestito l’udienza preliminare del processo a Salvini.
«Salvini stia tranquillo,» ha detto ai giornalisti il 24 settembre 2020, alla vigilia del dibattimento «che qui non ci sono Palamara» rispondendo indirettamente al leader della Lega che pochi giorni prima aveva detto: «Mi auguro di non trovare a Catania un altro Palamara».
Quello di Sarpietro è un giudizio inquinato da questioni personali. Nel 2015 bisognava nominare il nuovo presidente del tribunale di Catania e Sarpietro presentò al Csm la sua candidatura. Non passò; con il mio contributo decisivo gli fu preferito un altro magistrato, Bruno De Marco, esponente della mia corrente. E mi adoperai affinché la nomina di De Marco venisse confermata nonostante il suo legittimo ricorso al Tar. Se non sbaglio, dopo quella bocciatura si dimise da Magistratura indipendente. Mi resta il dubbio che, se invece di essere bocciato fosse stato nominato, quella tessera se la sarebbe tenuta stretta. Capisco che possa essere risentito, ma tanto ho imparato sulla mia pelle che osteggiati e beneficiati, quando gira il vento, uguali sono. Sarpietro mi insulta solo ora che sono caduto in disgrazia. De Marco peraltro sarà il presidente del collegio dei probiviri che nel 2020 decreterà la mia espulsione dalla magistratura. Detto questo, sono convinto dell’assoluta autonomia di giudizio di Sarpietro. (dal capitolo "La ferocia e l'inganno - Salvini e le due magistrature" pag. 124 del libro "Il sistema - Potere, politica, affari: storia segreta della Magistratura italiana)